CONTRADA TENNA

Nel 2000 mi recai nel Piceno, Marche, per studiare una tecnica d’innesto. Così che seppi dell’esistenza di una proprietà abbandonata i cui proprietari stavano alienando le terre.

Fu un colpo di fulmine. In realtà ciò che mi colpì, oltre la bellezza dei luoghi, furono più che i pregi, gli apparenti difetti del Montepulciano. Mi chiedevo se un vino tanto denso e ricco poteva divenire anche elegante. Era tornare indietro negli anni, una nuova sfida come quella già affrontata con il tocai (Friulano): trasformare il grosso in fine, la violenza in forza.

A febbraio del 2001 firmammo il contratto di acquisto: ca. 8 ettari di vigneto incolto diviso quasi per metà fra Sangiovese e Montepulciano. La vigna era abbandonata da tre anni, molti pali crollati, la vegetazione spontanea s’era mangiata la vigna e il tutto appariva un informe e inestricabile groviglio di liane, fili di ferro arrugginiti, erba, canne ed arbusti. Innanzitutto ci volevano le persone. Ebbi la fortuna di ritrovare gli stessi uomini che la vigna l’avevano piantata. Man mano che a uno a uno li stanavo per dirgli che si ricominciava, vedevo accendersi una luce speciale nei loro occhi. Mi sentivo il Belushi che nei Blues Brothers rimetteva insieme la band. Furono bravi e con entusiasmo riuscirono a dare una seconda vita a quella vigna che avevano fatto nascere.

M’ero accorto, infatti, che dentro a quella giungla le viti erano ancora vive. Così la scelta fu di riprenderle dal basso dopo aver tagliato i fusti. Furono allevate secondo l’innovativa forma di allevamento del ventaglio messa a punto in azienda qualche anno prima per gli chardonnay e i merlot di Borgo del Tiglio. Il vigneto fu completamente ristrutturato diventando anche molto bello da vedere, costituito per più dei due terzi dai ceppi originali, allora con più di 40 anni di età.

Con le annate ci fu un progressivo e costante miglioramento del risultato. Eravamo noi che stavamo imparando ma pure le viti che lentamente imparavano a darci ciò che chiedevamo loro. Grazie alla nuova forma di allevamento riuscimmo a miniaturizzare i grappoli del Montepulciano ma soprattutto del Sangiovese, normalmente molto grandi, ottenendo cose forse là mai viste prima.

L’amore nei confronti del Sangiovese, da me sottovalutato all’inizio, invece crebbe col tempo. Quel vino sa divenire fine e aristocratico, e dunque farsi amare, con gli anni che passano. Imparammo annata dopo annata a vinificare sangiovese e montepulciano, così diversi fra loro, e così diversi dai nostri merlot. L’apice lo raggiungemmo con le ultime due annate, il 2009 e il 2010.

Sì, perché questa avventura è conclusa per il fatto che la comproprietà ha ritenuto di non dare seguito all’investimento e soprattutto la legge è cambiata vietandoci la vinificazione fuori zona e noi la cantina l’abbiamo in Friuli.

Abbiamo continuato a coltivare direttamente nel 2011 e 2012 senza tuttavia poter vendere quel vino come Contrada Tenna in quanto privato per legge del nome, cognome e data di nascita. Abbiamo fatto coltivare la vigna per alcuni anni da terzi cercando ostinatamente soluzioni per far vivere anche sotto altra forma quel capitale notevole di esperienza maturata. Infine abbiamo desistito.

I vini delle ultime annate prodotte, il 2009 e il 2010 sono stati affinati – cosa che credo unica per la zona – anche per sette anni in piccoli fusti di rovere. Rappresentano un’esperienza irripetibile: una testimonianza non riproducibile del potenziale che quel Montepulciano, da noi imbottigliato con il nome di Nereus, e quel Sangiovese possono raggiungere nelle Marche.

Nicola Manferrari