COLLIO FRIULANO

Quando il 23 luglio del 1981 mio padre morì, l’uva era già grossa e di lì a qualche giorno avrebbe iniziato a tingersi del suo colore. Quella era la mia uva, la stessa che per la prima volta mi lasciarono pigiare azionando la manovella della pigiatrice di ghisa del nonno all’età di sei anni, facendomi così sentire grande. Non avevo pensato che il piccolo podere era coltivato quasi interamente a tocai e questo poteva rappresentare un problema.

Avevo 25 anni e facevo il farmacista, mi occupai di quella vendemmia per necessità, il mestiere di vignaiolo lo sposai solo qualche settimana più tardi. Così l’estate successiva, messo il vino in bottiglia, si pose il problema di venderlo. Mio padre lo forniva a una cantina che lo imbottigliava col nome del vignaiolo in etichetta, e allora presentai il mio Tocai a un noto grossista di Milano che lo conosceva già. Con attenzione lo assaggiò, fece i complimenti e si disse disponibile ad acquistarlo. “Ma c’è un problema,” mi avvertì “porta un nome improponibile, inventane un altro che te lo vendo.” Non capivo. Dicevo, se è buono perché vergognarsi del nome? Ne fui umiliato, quell’uva era la mia, della mia famiglia, della mia infanzia, della mia terra (Brazzano era nota come zona del tocai). Risposi che il vino avrebbe portato il nome che gli apparteneva, salutai e tornai a casa.

Nei mesi successivi cercai di capire e assaggiai con attenzione i tocai degli altri: non mi piacevano, in effetti. Mi chiedevo cosa si dovesse fare per dare al vino più dignità. Intuii che bisognava accrescerlo e soprattutto, dargli l’eleganza che ancora quasi non conosceva. Gli enologi d’allora erano ossessionati dall’acidità. Siccome quell’uva quand’è matura non è mai molto acida, si tendeva ad anticiparne la vendemmia. Col risultato di ottenere un vino grossolano, con acidi instabili e una tendenza all’ossidazione. Il tocai è inoltre un vitigno generoso se lo si lascia fare. Convinti di non potervi ottenere un buon vino, se ne produceva di più per compensare il prezzo basso di vendita.

Ritenni che le mie viti avrebbero prodotto meno. Tarai il rendimento su quello richiesto ad altri vitigni più blasonati. Non fu facile, perché la riduzione di produzione deve lasciare la vite in equilibrio, altrimenti la pianta sottrae ai grappoli gli zuccheri prodotti con la fotosintesi per destinarli alla fabbricazione del legno. Dovetti creare nel vigneto quelle condizioni speciali che favoriscono la deposizione degli zuccheri, con gli altri elaborati nobili, nell’acino. Iniziai a lasciare l’erba nei filari, a contenere e poi a eliminare le concimazioni, a ripensare il modo di gestire la vegetazione e in generale il rapporto delle viti con il loro ambiente.

Il primo passo fu di studiare una vinificazione specifica per il tocai, ritenendo che i concetti buoni per gli altri bianchi non funzionavano per questa uva dai parametri particolari. Valutai che per fare un prodotto fine bisognava raccogliere l’uva matura ed equilibrare il mosto con una pressatura più soffice. E ingrassarlo, poi, con una lunga permanenza sui lieviti di fermentazione. La prima vendemmia di cui mi sentii abbastanza soddisfatto fu l’83. Da allora ho continuato a perfezionare e affinare la vinificazione. Un elenco delle operazioni di cantina non avrebbe molto senso, voglio solo aggiungere che per aumentare la complessità, e fare uscire la vigna protagonista, limito al massimo le manipolazioni e in generale addotto tecniche che consentano di riconoscere il vigneto nel vino: è un’esigenza vitale, perché se noi che lo facciamo non riconosciamo i vigneti di provenienza il vino non si fa. Uno strumento essenziale a questo proposito sono le piccole botti di legno: garantiscono una pulizia olfattiva altrimenti difficilmente raggiungibile con il vitigno.

Non amo parlare degli aspetti organolettici dei miei vini. Innanzitutto perché descrivere un vino non è il mio mestiere, poi perché mi pare di rubare qualcosa alla degustazione, sciupandone la scoperta. Piuttosto due parole sulla collocazione. Il tenue, elegante sfondo amarognolo su cui s’impalca il vino, con l’aromaticità fine e non invadente dei profumi, gli conferisce doti di grande bevibilità. Vuotato un bicchiere rimane la sete di berne un altro. Si dimostra inoltre piuttosto duttile negli abbinamenti. Si sposa molto bene ai cibi dal sapore salato e amaro. Fantastico dunque con i grandi pesci bianchi, con le verdure specie quelle amare, con la carne rossa cruda, dunque la tartara, il prosciutto crudo, o la parte rossa di una tagliata, magnifico con le ostriche. Il bellissimo impatto che ha con le olive e l’olio di oliva lo rende il vino principe per la cucina mediterranea. Volendo osare di più pure con preparati salati a base di uova. Benissimo con certi piatti delle cucine orientali, molto adatto con la salsa di soia.

Spesso mi riferiscono che i nostri vini da tocai sono inseriti nelle degustazioni come i tocai di riferimento, quelli sui quali misurare le differenze dagli altri vini. Ciò mi riempie di gioia. Ma ahimè, le sventure di questo vitigno, generoso quanto sfortunato, non erano finite: quel nome già a me caro, che ho voluto difendere a denti stretti perché non fosse scippato dalle logiche brutali del mercato, è oggi perduto, rubato dalla Unione Europea. Il nuovo nome è quello di Friulano.

Il Collio Ronco della Chiesa è il vino prodotto dai ca. 12.000 metri del vigneto di tocai posto immediatamente a ridosso del borgo aziendale. L’esposizione è Sud-Ovest, le viti guardano il mare dal quale le separa una pianura breve di poche decine di chilometri. In questa posizione riparata e piuttosto calda, lambita in estate solo dalle brezze tiepide provenienti dal mare, il tocai trova l’ambiente migliore per esprimersi in finezza e complessità. Il terreno è quello tipico del Collio. Il sottosuolo, dal nome scientifico di “Flysch di Cormòns”, è costituito di strati alternati di arenaria e marna attraverso i quali anche nei periodi più siccitosi dell’anno possono filtrare deboli quantità d’acqua (sul bordo della capezzagna scorre un piccolo ruscello perenne). La sistemazione attuale fu ottenuta dissodando il terreno a mano, dunque non alterando le curve di livello originarie e lasciando intatti gli strati geologici sottostanti. La varietà del tocai è quella cosiddetta “verde”, la più aromatica. La maggior parte del vigneto ha ormai raggiunto l’età di sessant’anni. La densità d’impianto è elevata, considerata la notevole pendenza del terreno, in quanto fu pensata per essere coltivata con il cavallo e curiosamente proprio per questo è molto moderna e funzionale.

Il vino, nelle annate migliori, presenta doti di eleganza e complessità superiori. Solo quando questo avviene va in bottiglia con il nome della vigna, anche se la produzione potenziale massima di 4-5.000 bottiglie l’anno, quasi mai viene raggiunta. Mio malgrado, a partire dal Collio Ronco della Chiesa 1998 il vino non porta più in etichetta il suo nome di “Tocai”.

Nicola Manferrari